Ecco il film che tutti dovrebbero andare a vedere durante questi giorni di preparazione natalizia. Una commedia dolce e amara che ti entra dentro e ti cambia. Straordinaria performance di Richard Jenkins
Ci sono film così adrenalinici che si dimenticano dopo pochi giorni. E altri apparentemente immobili, ma che ti lavorano dentro. Come i maratoneti che vengono fuori al traguardo, sulla lunga distanza. L’ospite inatteso (The Visitor è il più polisemico e quindi appropriato titolo originale) fa parte del secondo gruppo. Walter Vale è un professore universitario specializzato in globalizzazione e politiche del Terzo mondo. Vedovo, appiattito su una triste routine, arriva a New York per un convegno e trova nel suo appartamento una coppia di immigrati irregolari: Tarek, un musicista siriano di tamburo, e Zainab, la sua timida fidanzata senegalese. Li accoglie e si affeziona a Tarek, che lo fa rivivere facendogli scoprire la musica di Fela Kuti. Finché il servizio immigrazione non lo arresta. La madre del ragazzo, Mouna, si presenta con pudore a casa di Walter; insieme cercano di evitarne l’espulsione. La seconda regia dell’attore e sceneggiatore Thomas McCarthy (del 2005 il suo esordio, Station Agent), ha il pregio di definire particolari, atmosfere, psicologie e ambienti. Di far emergere l’umanità dei personaggi stritolati dal sistema. Walter è ospite di un’America che non riconosce più come sua, tenuta in scacco com’è dalle paure terroristiche del post 11 settembre (non a caso l’unica bandiera nazionale sfuma in dissolvenza); Tarek ha lasciato la sua patria a causa della guerra, mentre quella adottiva lo respinge per non aver risposto a un modulo ufficiale spedito per posta. Richard Jenkins, noto caratterista di cinema e Tv (da Potere assoluto e L’uomo che non c’era a Six Feet Under), è il vero maratoneta del film: approccio minimalista e rivelazione graduale di sé. Il suo personaggio è lo specchio di un paese che ha perso la capacità di accogliere l’altro, ma forse non del tutto l’energia e la fiducia nel domani. Misurato, realista, volutamente dimesso, il film cerca di guardare con gli occhi di chi è straniero: ecco perché la scena sul battello, quando Mouna e Walter osservano dal mare la statua della Libertà, si fissa nella memoria.
di Raffaella Giancristofaro
1 commento:
Sembra un film tosto, ma sicuramente da vedere! Ciaoooooo
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